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Lastra tombale
1592
marmo di Carrara
0449/PM
Altezza: 160 cm, Larghezza: 88 cm, Profondità: 8 cm
Figura giacente dell'arcivescovo Pietro di Villars
Lastra tombale dell'arcivescovo Pietro di Villars che indossa un piviale appuntato da fermaglio diademato, con fasce incise a girali. La tunica sottostante è fittamente pieghettata.
L'opera fu acquistata dal Museo nel 1934 per 1000 lire (Inventario Particolare, n. 392), da un venditore non precisato; Mattirolo (1934) ci informa però che fu ceduta alla Città di Torino (nella cui Sala dei Marmi l'autore la registrò nel novembre 1934), "per illuminata disposizione dei Reverendi Padri Barnabiti di Moncalieri", ai quali era stata affidata l'officiatura della chiesa di San Francesco a Moncalieri, da dove effettivamente proviene la lapide. Tra i documenti dell'archivio del Museo Civico è stato rinvenuto un atto (ASMCT, A. A., 1934, p. 41, già citato nella scheda inventariale), secondo il quale l'opera sarebbe arrivata il 20 luglio 1934 dal Reale Collegio Carlo Alberto di Moncalieri, retto dai Barnabiti.

La prima notizia di questa lapide viene data nel 1872 da Antonio Bosio, il quale, a proposito del monumento eretto a Pietro de Villars in San Francesco a Moncalieri, disse che tale bassorilievo fu smarrito nella ricostruzione della chiesa nel 1788 e che fu in seguito ritrovato dai Padri Barnabiti; purtroppo durante la ricostruzione della chiesa andarono perdute le spoglie di Pietro de Villars, insieme con molte altre lapidi che avrebbero potuto documentare fatti e persone. Nella chiesa di San Francesco, in una stanza poco illuminata che dava adito alla cella campanaria, in gran parte ricoperta dalla scala e da altri attrezzi, Mattirolo vide infatti la lapide fissata al muro e, incuriosito, si fece aiutare dal barnabita Padre Boddaert nel rimuovere i materiali che ne impedivano la visione completa. L'autore riuscì a prendere nota dell'iscrizione, individuando nel prelato, dall'espressione calma e dignitosa, l'arcivescovo Pietro de Villars, che nel 1574 succedette a Vespasiano Gribaldi Moffa di Chieri, tornato in patria.

Mattirolo descrisse diffusamente il bassorilievo in marmo bianco di Foresto o di Crissolo, definito "dai competenti di buona fattura e di notevole pregio", rappresentante il defunto disteso, sebbene apparentemente di dimensioni inferiori a quelle reali (l'altezza della figura è infatti di 140 cm), con gli occhi aperti dall'espressione serena. Le mani affusolate e ben modellate recano tre anelli, sul cui significato l'autore si interroga (quello più grosso all'anulare sarebbe l'anello vescovile, quello al pollice forse un sigillo); il corpo un po' tozzo è rivestito da un camice coperto dal piviale ricamato, chiuso sul petto da una grossa borchia, mentre sopra, obliquamente, è posto il pastorale terminante non con il ricciolo, ma con una croce, forse ad indicare che il prelato aveva rinunciato all'ufficio arcivescovile. Il cattivo stato di conservazione dell'opera fu rilevato già da Mattirolo, che la definì oscurata in superficie, a causa dell'ossidazione del marmo e per via della polvere; l'autore si stupì però che tale oggetto presentasse così pochi segni di consunzione, solitamente dovuta al passaggio dei fedeli sui sigilli tombali terragni. Mattirolo giustificò lo scarso logoramento con la probabile collocazione del monumento in un convento di frati, demolito il quale per la costruzione dell'attuale chiesa, la lapide venne infissa nel posto in cui fu poi ritrovata. Ignoto era il nome dell'autore dell'opera, definito comunque di "buona scuola".

Mallé descrisse la lapide con toni meno entusiastici rispetto a Mattirolo, sottolineandone il rilievo appiattito, le proporzioni tozze e il panneggio convenzionale.

È evidente in effetti una certa mancanza di proporzione nella parte inferiore della figura, nonché una discrepanza tra il modo approssimativo con cui fu scolpito il corpo e una certa cura nel delineare il volto (dove emerge uno sforzo ritrattistico) e i ricami delle vesti.

Di Pietro de Villars Mattirolo restituì un ampio profilo biografico: apparteneva a una famiglia di giureconsulti che i francesi indicano con il nome di "famille de robe", ovvero nobili di toga. Figlio cadetto di Pietro de Villars, borghese di Lione, e di Susanna Jobert, nacque nel 1517 a Condrieu, borgata nella diocesi di Vienne, dove il padre si era ritirato dopo essere stato al servizio di re Carlo VIII. Studiò diritto all'Università di Parigi, dove si laureò nel 1539; in seguito venne a studiare in Italia, a Padova, dove ebbe come maestro l'insigne giureconsulto Boncompagni, che divenne papa con il nome di Gregorio XIII. Ritornato in Francia, fu inscritto come avvocato al Parlamento di Parigi; qui il cardinale de Tournon lo prese al suo servizio e lo portò a Roma in qualità di conclavista nell'elezione di papa Giulio III e vi rimase dal 29 novembre 1549 all'8 febbraio 1550. Il cardinale de Tournon, che era arcivescovo di Auch, gli concesse un beneficio nella sua stessa chiesa nominandolo arcidiacono; trasferito poi alla sede di Lione (11 maggio 1551), volle avere con sé Pietro de Villars colmandolo di nuovi benefici ecclesiastici, nominandolo prevosto di Viviers, cavaliere della Chiesa di Lione, canonico e infine prevosto di San Giusto a Lione. Il 1° giugno inoltre Pietro de Villars fu nominato consigliere al Parlamento di Parigi, e in tale qualità accompagnò nuovamente a Roma i cardinali di Lorena e di Tournon.
Romanello E., Emblemi di pietra. Araldica e iscrizioni piemontesi, 2008, pp. 85-86,
Moncassoli Tibone M. L., Dalle chiese del Medioevo. Palazzo Madama, in Archivi di pietra, 1988, pp. 69-73,
Bosio A, Storia della antica Abbazia del Santuario di nostra Signora di Vezzolano, 1872, p. 89, nota 90,
Mattirolo O., "Rassegna Municipale Torino". La pietra tombale di Pietro de Villars Arcivescovo di Vienne nel Delfinato (+ 1592) recentemente ritrovata a Moncalieri: ora nel Museo Civico di Torino, 1934, pp. 23-27,
Mallé L., 1965, p. 210