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Lastra tombale
1557
marmo
0454/PM
Altezza: 74 cm, Larghezza: 69 cm, Profondità: 6 cm
genietti / stemma / iscrizione
Stemma, non confermato da regie patenti, della famiglia Granario: aquila col volo spiegato, coronata; si ricorda, a titolo puramente informativo, che la città di Alessandria prima del 1437 aveva come arme proprio un'aquila (A. Manno, vol. II, 1891, p. 11). L'assenza degli smalti non ci permette di dare una descrizione più precisa, né l'emblema di tale famiglia è stato rinvenuto nei repertori disponibili, forse perché il casato dei Granario non fu particolarmente insigne (non era tra le maggiori famiglie di Alessandria) e si estinse piuttosto presto. Il motto "Sine Fraude" non è segnalato come appartenente alla famiglia Granario, né è stato rinvenuto nelle raccolte delle imprese nobiliari (per esempio in E. Gabotto di San Giovanni, Motti delle famiglie nobili piemontesi, Asti 1917). Però in BRT, ms. Varia 729, Stemmi di famiglie piemontesi, sec. XVII, fol. 5 r., compare lo stemma dei marchesi Grana, recante un'aquila a volo spiegato nera coronata del medesimo su fondo bianco (ovvero d'argento). Agostino Della Chiesa non cita nei Fiori di Blasoneria tale famiglia, mentre Antonio Manno (vol. XIV, p. 499) presenta il casato monferrino dei Grana con uno stemma differente: inquartato di rosso e di nero, al castello d'oro attraversante sopra un alberetto di melograno di verde, fruttato di un pezzo d'oro, spaccato di rosso, il frutto sinistrato da una colomba d'argento volante in fascia, in atto di beccarlo. (E. Romanello 2003).
proviene da Casale Monferrato.

(E. Romanello 2003) La lapide giunse al Museo Civico il 27 gennaio 1903, come proveniente da Casale (Inventario Generale, vol. II, p. 388, inv. 3874; Inventario Pietre e Marmi, p. 266; Inventario Particolare n. 346), in seguito all'acquisto, per 120 lire, da C. Grosso, così almeno secondo la scheda inventariale del 3 ottobre 1989. In realtà l'Inventario Generale non è molto chiaro a riguardo, in quanto all'apposita voce è scritto: <>, riferendosi all'oggetto precedente, che fu acquistato da G. Guglielmi, e non da C. Grosso, il quale appare invece alcune righe prima (Inventario Generale, vol. II, p. 388, inv. 3874). E' probabile anche che l'indicazione " Guglielmi G." sia stata aggiunta in un secondo momento, e che quindi rimanga valida l'acquisizione da Grosso.

Mallé non dà indicazioni sull'illustre uomo di legge a cui fu dedicata l'iscrizione celebrativa, preferendo soffermarsi sui genietti ai lati dell'emblema. Questi, appoggiati su faci diverse, porterebbero secondo l'autore "innanzi nel tempo un gusto che fu tipico a Casale nel primo trentennio del '500", ma che qui per la data 1557 apparirebbe convenzionalizzato ed in ritardo (L. Mallé, 1965, p. 200).

Il gusto ritardatario di chi commissionò l'opera (il cui stile è definito comunque "raffinatamente colto" da Maria Luisa Moncassoli Tibone, 1988, p. 72), è senz'altro da confermare. Si confrontino infatti i due putti appoggiati al candeliere, al frammento di monumento sepolcrale della marchesa Maria di Serbia (morta nel 1495) a Casale Monferrato, recante un genietto "colla face inversa, simbolo della morte", salvato tra i molti rottami dall'avvocato Evasio de Conti (fratello di Giuseppe de Conti, quindi vissuto verso la fine del '700 e l'inizio dell''800) che lo pose nel portico di casa sua, dove lo vide ancora Alessandro Baudi Di Vesme (A. Baudi di Vesme, 1895, pp. 289-290, 292). CONTINUA IN ANNOTAZIONI
Mallé L., 1965, p. 200,
Moncassoli Tibone M. L., Dalle chiese del Medioevo. Palazzo Madama, in Archivi di pietra, 1988, p. 72