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Rinfrescatoio per bottiglia
c. 1750
porcellana dipinta e dorata
2479/C
Altezza: 20,5 cm, Larghezza: 25 cm
Maschera della Commedia dell'Arte (Arlecchina)
Il recipiente è costituito da due conchiglie, una dentro l’altra, dipinte di blu e verde poggianti su una base imitante uno scoglio incrostato di conchiglie. Sulla destra figura di Arlecchina reggente uno spartito musicale arrotolato (in sostizione di quello originale spiegato).
Nel Settecento i rinfrescatoi da bottiglia avevano in genere la forma di un vaso alto e stretto, ma molte erano le varianti possibili. Tra le forme più fantasiose si trovano senza dubbio i quattro rinfrescatoi con maschere della commedia dell'arte della fabbrica di Carlo Ginori a Doccia, del 1750 circa, dove il vaso è formato da grosse conchiglie assemblate a un basamento imitante uno scoglio incrostato di conchiglie. Questa forma si ritrova in una natura morta dipinta da Antonio Cioci (1785), oggi all'Opificio delle Pietre Dure di Firenze, raffigurante porcellane giapponesi e della fabbrica Ginori. A Doccia il motivo della conchiglia, tipicamente barocco, era spesso usato, sia nei centrotavola sia nei déjeuners. La ripresa di motivi naturalistici prosegue sul fondo del vaso, dove sono dipinti insetti viola e verdi. La raffinata composizione è qui completata dalla figura di Arlecchina.

Il soggetto delle maschere del teatro italiano è menzionato in diversi inventari della manifattura di Doccia e il modello bianco di un rinfrescatoio con Pulcinella è conservato al Museo delle Porcellane di Doccia (G. Liverani, il Museo delle Porcellane di Doccia, Milano 1967, tav. LXI). Le figure della Commedia dell’Arte, prodotte a Doccia nel periodo 1750-’55 presentano notevoli analogie con quelle fabbricate nella manifattura di Vienna pochi anni prima, tra 1744 e ’49, dalla quale probabilmente derivavano.
D'Agliano A., Alcune porcellane di Doccia del Museo Civico di Torino, 2007, p. 17,
Maritano C., Fortuna delle sculture in porcellana di Doccia in Inghilterra: la collezione di Emanuele d'Azeglio, 2011, pp. 17, 30 nota 34