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Pettine (forma parte d’un gruppo, in totale 6)

    Pettine (forma parte d’un gruppo, in totale 6)
    ultimi decenni XIX secolo
    Materiale osseo (avorio?) estremamente degradato, ri- coperto di una patina ottenuta con un impasto di gesso e resina.
    0097/AV
    Altezza: 13,8 cm, Larghezza: 4 cm
    I sei pettini (112/AV, 113/AV, 114/AV, 115/AV, 116/AV) mostrano una struttura simile, caratterizzata da un’unica fila di denti, da un profilo superiore curvo con spalle rialzate (in modo da agevolare la presa) e da spesse alette alle estremità inferiori. I motivi decorativi sono geometrici e zoomorfi.
    La falsità di tutti questi oggetti (112/AV, 113/AV, 114/AV, 115/AV, 116/AV) è stata dimostrata dall’archeologo Giovanni Bergamini contestualmente a quella dei quattordici astucci di rasoio giunti al Museo Civico e alla Galleria Sabauda dalla collezione Gualino, a loro volta provenienti prima del 1926 dalla raccolta del pittore Attilio Simonetti (1843-1925), tramite la casa d’aste romana Sangiorgi (Bergamini 1982). Lo stile fortemente eclettico e la provenienza da Roma hanno permesso a Bergamini di identificare i falsari in quel gruppo di artigiani e restauratori che, nella seconda metà dell’Ottocento, faceva capo a Francesco Martinetti (1833-1895), antiquario spregiudicato e dalla fama molto dubbia (Guarducci 1980, pp. 471-529; Bergamini 1982, pp. 246-251; Perrone Mercanti 1990; Cerbella 2008, pp. 64-71). In collaborazione con l’illustre archeologo tedesco Wolfgang Helbig (1839-1915), Martinetti aveva avviato una lucrosa produzione di falsi manufatti archeologici, fra cui si possono annoverare il Trono di Boston e, forse, la Fibula Prenestina, la cui effettiva autenticità resta dibattuta. Il carattere eterogeneo dei motivi decorativi, desunti da un repertorio che spazia dall’arte greca arcaica a quella altomedievale, ha indotto l’epigrafista Margherita Guarducci a definire questi pettini “umoristici” per la grossolanità della contraffazione (Guarducci 1984, p. 134); inoltre, le teste di ariete degli esemplari 115 e 116/AV sono estremamente simili alle protomi zoomorfe delle novaculae nn. 142, 143 della Galleria Sabauda, e 126/AV del Museo Civico: è verosimile che l’artefice sia stato il medesimo (più a “Stato Conservazione”).
    Viale V., Bollettino della Società Piemontese d'Archeologia e di Belle Arti. I principali incrementi del Museo Civico di Arte Antica, 1948, p. 15