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Pettine
secondo o terzo quarto XV secolo
Avorio dipinto e dorato
0118/AV
Altezza: 11 cm, Larghezza: 14,7 cm, Profondità: 0,7 cm
profili femminile e maschile
Il pettine è biconvesso e presenta una forma allungata. La costola centrale separa due file di denti, più fitti in alto (98) e più grossi in basso (46), intatti e affiancati da montanti verticali ornati sul margine esterno, ai due lati della lunatura centrale, da un festone di dentature trifogliate. La decorazione del pettine è affidata internamente alla pittura. Su ciascuna faccia, essa è incentrata su una figura di profilo (femminile e maschile), volta verso sinistra, tagliata all’attaccatura delle spalle, che si staglia contro un cartiglio dalle estremità arrotolate. Figura e cartiglio sono tracciati in nero e in oro. Su ambedue le facce gli spazi di risulta sopra e sotto i cartigli sono occupati da tralci dorati e da foglie seghettate verdi con un punto dorato al centro (sul lato con la donna, tre punti non hanno più la doratura). Delle filettature in oro e in rosso delimitano la costola e profilano i montanti; la seghettatura esterna è orlata da semplici motivi decorativo in nero, oro e rosso.
La decorazione non lascia dubbi sulla destinazione profana del pettine come strumento da toeletta; specchi e pettini a doppia fila di denti sono rappresentati con frequenza nelle miniature coeve, nelle scene cortesi o in mano a fanciulle e creature diverse nei bas-de-page.



Gli avori dipinti piuttosto che intagliati sono relativamente rari nel periodo gotico, e meno studiati e pubblicati che i loro corrispondenti scolpiti. Non è dunque agevole trovare termini di confronto pertinenti da un punto di vista stilistico, anche se da un punto meramente tipologico si può rinviare a un pettine dipinto del Metropolitan Museum of Art di New York (inv. 17.190.245), riferito all’Italia o alla Francia e datato al XV o al XVI secolo (Cat. New York-Fort Worth 2008, pp. 106-107, n. 37 [D.L. Krohn]). È stato osservato che la tecnica deve essere stata ispirata da quella degli avori siculo-arabi (Gaborit-Chopin 2003, p. 551), è dunque possibile che questo adattamento sia avvenuto in Italia. I pezzi meglio studiati sinora sono databili nella seconda metà o alla fine del XIV secolo e sono stati attribuiti all’Italia (Randall 1993, p. 139, n. 214; Gaborit-Chopin 2003, p. 551, n. 259).
Mallé L., Smalti e avori del Museo d'Arte Antica, 1969, p. 316,
L'Amore dall'Olimpo all'alcova, 1992, pp. 136-317,
Thellung C., Il Tesoro della Città, 1996, p. 197