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Sirene/stemma/racemi
XVI
ardesia
0243/PM
Altezza: 58 cm, Larghezza: 222 cm, Profondità: 2 cm
fregio
Le pessime condizioni di conservazione, con una consistente gora di umidità al centro (dovuta a perdite di acqua da una conduttura sovrastante, che hanno corroso l'ardesia), rendono estremamente difficoltosa l'identificazione dello stemma a testa di cavallo. Si rileva una partizione verticale, e poco più a destra si crede di scorgere una banda attraversante il campo; a sinistra i fitti solchi trasversali possono essere interpretati come le piume di un'ala (ma potrebbe anche trattarsi di tracce di un'abrasione). (E. Romanerllo 2003).
L'opera, di provenienza ignota, fu acquistata dal Museo Civico l'11 febbraio 1904 da Samuele Ovazza per 150 lire, come lavoro genovese del XVI secolo (Inventario Generale, vol. II, p. 393, inv. 3925; Inventario Pietre e Marmi, p. 258), la cui data venne meglio precisata al primo quarto del '500 (Inventario Particolare, n. 354).

Mallé propose, per la lastra in pietra di Lavagna, data la forma trapezoidale, una funzione originaria di coronamento superiore di un portale, opera di un lapicida ligure, cresciuto su una cultura lombarda ormai divenuta localmente generica (L. Mallé, 1965, p. 167).

Per l'identificazione dello stemma non compare in aiuto nessuna scritta, né insegne specifiche ad incorniciarlo, ma solo due eleganti nastri, terminanti in nappe, che s'increspano sinuosi.

Gli eleganti motivi vegetali possono trovare un termine di confronto nel Grifone che artiglia un serpente e girali (scultore lombardo, 1512 ca.), conservato presso il Museo e cripta di Sant'Anastasio ad Asti e proveniente dal demolito Palazzo Catena, già dimora di Andrea Novelli vescovo di Alba (riprodotto in G. Donato, 1998, p. 98; G. Donato, 2001, scheda n. 58, pp. 172-173).

Giovanni Donato individuò negli autori del fregio un naturalismo sciolto, sensibile, più che ai grevi motivi a candelabra quattrocenteschi, alle grottesche centroitaliane, le quali possono trovare un parallelo nei resti di decorazione per il palazzo di Francesco Mazzola ad Asti. Gli autori potevano essere lignamari padani attivi per le cornici gandolfiniane di Asti e versati anche nel campo edilizio, come per esempio il cremonese Paolo Sacca. Tale filone scultoreo sembrerebbe condiviso dai committenti liguri-piemonesi come i Della Rovere, nel castello di Vinovo, i Del Carretto, nei portali della parrocchiale di Saliceto, 1505-1513 (una bella riproduzione in G. Romano (a cura di), 1990, p. 174, tav. 46) e nel San Sebastiano a Perti. CONTINUA IN ANNOTAZIONI
Mallé L., 1965, p. 167