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Dipinto
1440-1445
tempera e oro su tavola
0432/D
Altezza: 79 cm, Larghezza: 48 cm, Profondità: 2 cm
Crocifissione; figura di donatrice
Crocifissione. La cornice è coeva e coerente alla tavola.
Il Cristo crocifisso è circondato da una folla tumultuosa, tra cui si riconosce, nell’angolo inferiore sinistro, inginocchiata ai piedi della Madonna, una devota, abbifgliata secondo la moda degli anni 1435-1445.

Il dipinto, come denuncia una fotografia Giraudon (n. 4733),fu imprestato da un anonimo collezionista privato alla mostra parigina dei Primitifs français del 1904, e qui riferito a scuola francese. Considerato in seguito opera catalana, la tavola fu attribuita da Chandler Rathfon Post (1952) al "Maestro dell'Encarnacion", pittore fiammingo attivo a Valencia tra il 1439 e il 1460, oggi identificato con Lluis Alimbrot. Al momento del suo ingresso nel Museo (1960), fu ritenuto opera tardiva di Jaquerio da Franco Russoli prima, e da Vittorio Viale e Luigi Mallé poi. Poco dopo, Andreina Griseri (1963, [1965], 1979, 1997) accostò il dipinto al manoscritto dell'Apocalisse di Savoia conservato all'Escorial, avanzando il nome di Jean Bapteur, attivo alla corte di Amedeo VIII dal 1427 al 1457. L'ipotesi non fu però accettata da Charles Sterling (1969, 1971 e 1986), che propose di identificare l'autore della tavola in un pittore savoiardo o piemontese a conoscenza delle novità dell'arte fiamminga. Giovanni Romano (1988, 1996) riferì invece la Crocifissione a maestro savoiardo prossimo a Péronet Lamy, l’artista che affiancò Bapteur nell’esecuzione dell’Apocalisse dell’Escorial. Gli interventi più recenti hanno ripreso in considerazione la vecchia attribuzione in favore di Bapteur, riconducendo il dipinto torinese a un collaboratore dell’artista (F.Elsig, 1998, 2001 e 2002) o alla mano del maestro in persona (F.Avril, 2004). G. Saroni (1996) riconosce somiglianze tipologiche e analogie con il linguaggio di Bapteur nel trattamento del paesaggio e nell'’attenzione per i dettagli preziosi, come le stoffe e le decorazioni ricamate degli abiti, tuttavia rimarca - come sottolineato già da Charles Sterling e ribadito in seguito da Luciano Bellosi (1980), Giovanni Romano (1988, 1996) e Enrico Castelnuovo (2002) - un aggiornamento sulle novità dell’arte fiamminga assai più accentuato rispetto a quanto emerge nelle opere di Bapteur. La forza drammatica della rappresentazione supera infatti per realismo e intensità anche le pagine più inquietanti dell’Apocalisse di Savoia, segnando un divario difficilmente giustificabile dal decennio che separa le due opere (1428-1434 per il manoscritto, citato più volte nei conti della tesoreria sabauda, e 1440 circa del dipinto, a giudicare dai dati della moda). La soluzione più convincente al problema della difficile collocazione della tavola torinese resta quindi, per ora, considerarla non opera di Bapteur ma di un pittore più moderno (non necessariamente di origine settentrionale) che dall’artista friburghese non prescinde, forse perché formatosi in uno dei suoi cantieri.
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