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Capitello
XII secolo secondo quarto
marmo lunense
0205/PM
Altezza: 33 cm, Larghezza: 20 cm, Profondità: 22 cm
decorazione a foglie/ nastro bipartito
Maestro dei capitelli di sant'Orso
capitello in marmo bianco, con due foglie angolari nervate e altre quattro minori accartocciate. Tra le due lunghe foglie angolari si trova un motivo bipartito a nastro decorato a forellini che ne segue l'andatura e che è fermato al centro da una foglietta trilobata ripiegata.
La provenienza dal complesso monumentale dei Santi Pietro e Orso di Aosta, anche se non è possibile specificarne l'esatta ubicazione originale, è documentata anche per questo capitello, venduto nel 1887 al Museo assieme agli altri due figurati (201-202/PM) dall'antiquario Guglielmi. Il capitello è analogo per forma, proporzioni e per il tipo di decorazione fogliacea al capitello n. 36 del chiostro, ma secondo le notizie riportate da don P. Papone (com. orale di M. Gomez Serito) sarebbe di materiale lapideo diverso dal marmo bianco degli altri capitelli e non farebbe parte del chiostro, non rientrando pertanto nella ricostruzione proposta dallo studioso per ricolloca i capitelli torinesi nella collocazione originaria.

È oggi assodato che il 1132, anno dell'adozione della vita comunitaria da parte del Capitolo ursino, sia il temine post quem per la costruzione del chiostro e non la data precisa del monumento, come tendevano a interpretarla in passato alcuni studiosi. Il capitello vicino rappresenta i protagonisti dell'avvenimento storico: Herberto, vescovo di Aosta dal 1132 al '39, e Arnolfo, primo priore della nuova comunità. Interpretata come scena dedicatoria, la raffigurazione pareva suffragare una cronologia negli anni immediatamente successivi al 1132, sotto l'episcopato di Herberto; una lettura in chiave politica dell'iconografica suggerisce di posticipare la datazione al quinto decennio (J.-G. Rivolin 1995, P. Papone 2003 e 2004).

La compresenza, nei capitelli, di caratteri stilistici riconducibili ad ambiti culturali diversi hanno alimentato posizioni critiche contrastanti, sintetizzabili nel dubbio espresso da Pietro Toesca (1911) che le sculture non si possano «con certezza riconnettere piuttosto all'arte romanica lombarda ... che a quella provenzale».

I sostenitori dell'ipotesi “lombarda” (A. Kingsley Porter 1916, N. Gabrielli 1958, E. Castelnuovo 1961, L. Mallé 1965) sottolineano caratteri come il plasticismo accentuato, il gusto per le ampie superfici levigate, la semplicità del modellato e degli schemi compositivi, la profusione di soggetti zoomorfi, effettivamente riconducibili alla scultura comasco-lombarda dell'XI e della prima metà del XII secolo (figg. 1, 4). I soggetti narrativi e indubbie affinità tipologico-stilistiche giustificano invece il richiamo alle regioni mediterranee dell'Europ (A. Venturi 1904, M. Magni 1974): in Provenza e in Catalogna si trovano di fatto i principali esempi di chiostri istoriati romanici ancora esistenti o dei quali si ha notizia (Arles, Aix-en-Provence, Montmajour, Avignone, Sant Cugat del Vallés e Girona).

Mentre l'ipotesi “lombarda”, nella quale il chiostro aostano si colloca in rapporto di derivazione dai modelli milanesi e comaschi, non contrasta con una datazione non troppo lontana dal 1132, la lettura in chiave “provenzale” è più problematica dal punto di vista cronologico, in quanto comporterebbe un inaccettabile avanzamento della cronologia del chiostro alla fine del XII secolo, in accordo con la datazione tradizionalmente attribuita alla fioritura della scultura alla foce del Rodano.

Nel tentativo di ricomporre la frattura fra due posizioni apparentemente inconciliabili, si è spostata l'attenzione sui possibili fattori di integrazione e di scambio di esperienze diverse attraverso aree geograficamente anche molto lontane, in primo luogo il fenomeno degli ateliers itineranti (S. Barberi 1988 e 2001). La regione alpina, caratterizzata per tutto il Medioevo da transiti intensi, si rivela in questo senso un luogo privilegiato per la circolazione di schemi e modelli stilistici diffusi da artisti di passaggio come quelli attivi a Sant'Orso.

Gli studi più recenti identificano la componente francese presente nei capitelli aostani come originaria del bacino del medio Rodano, un'area a cui va riconosciuto un ruolo cruciale nello sviluppo della scultura romanica provenzale (G. Romano 1994). La penetrazione al di qua delle Alpi del linguaggio artistico elaborato nel Lionese è attestata, in anni di poco antecedenti a quelli di Aosta, dall'attività del maestro Pietro da Lione in Piemonte. Verso il terzo decennio del XII secolo, "Petrus lugdunensis" firma l'altare in marmo proveniente dalla chiesa di Santa Maria Maggiore e oggi conservato nella sala capitolare della cattedrale di Susa: i tre pilastrini scanalati che scandiscono il monumentale parallelepipedo culminano con capitelli a foglie di acanto e pigne affini ai capitelli del chiostro aostano, benché di esecuzione più raffinata (evidente anche nella ricerca decorativa che arricchisce l'accuratissimo ductus dei caratteri epigrafici) e per un elegante linearismo.

Lo stesso artefice è stato individuato al Portale dello Zodiaco alla Sacra di San Michele di Sant'Ambrogio di Susa, accanto al maestro Nicolò. Quest'ultimo, strettamente legato alla tradizione classica, introduce nella scultura dell'arco alpino occidentale la tematica narrativa, fino allora mai affrontata.

Proprio a Lione, patria del maestro Pietro, si trovano i rilievi che mostrano le maggiori somiglianze con le sculture ursine: si tratta di due capitelli reimpiegati intorno al 1829 nella costruzione del battistero della basilica di Saint-Martin d'Ainay e forse provenienti dall'antica chiesa di Saint-Pierre annessa all'abbazia di Ainay. La porta del battistero assembla elementi di fattura ottocentesca ad altri antichi, fortemente rimaneggiati e integrati, tra cui i due capitelli del montante destro raffiguranti la Natività e l'annuncio ai pastori. Benché lo stile si differenzi denotando qui una più spiccata ricerca ornamentale e un'attenuazione del senso plastico e della forza espressiva, le identità iconografiche con gli omologhi capitelli ursini (n. 4 e capitello n. 201/PM in Museo) pare attestare l'esistenza di stretti rapporti fra i due ateliers e l'utilizzo dei medesimi modelli. Stante l'assoluta mancanza di documentazione e di informazioni più precise sulle vicende del battistero e l'origine dei rilievi reimpiegati, non è possibile per il momento formulare ipotesi più dettagliate.

Ma vi sono altri confronti che rafforzano i legami con il Lionese. Tipico di quest'area è un certo repertorio decorativo vegetale presente anche ad Aosta (steli perlati, infiorescenze a pigna, foglie carnose e appuntite con nervatura centrale e fitte nervature trasversali parallele), già presente nei capitelli della chiesa abbaziale di Ainay, consacrata nel 1107, ed esemplificato più avanti nel secolo da un capitello proveniente dalla stessa abbazia e oggi conservato al Musée de Picardie di Amiens e da un altro frammentario, con un animale che si protende ad afferrare una pigna, già appartenente all'abbazia di Savigny-en-Lyonnais.

Ulteriori confronti si possono effettuare, per le tipologie vegetali, con alcuni capitelli della chiesa e del chiostro di Saint-André-le-Bas a Vienne.

L'«umanità barbarica» dei capitelli di Aosta parrebbe dunque nascere dall'incontro di lapicidi locali, cresciuti su modelli lombardi, con scultori di formazione lionese che attraverso la lezione di Nicolò alla Sacra di San Michele si misurano con i meccanismi del tema narrativo, dando vita a un linguaggio figurativo originale che intreccia esperienze artistiche provenienti dai due versanti alpini.
Orlandoni B., Appunti per un' indagine sulla consistenza originaria e sulla dispersione del patrimonio artistico gotico, 1987, p. 33,
Romano G., Piemonte Romanico. Cantieri di aggiornamento..., 1994, pp. 185 - 190,
Mallé L., Palazzo Madama in Torino. Le collezioni d'arte, 1970, v. II, p. 121,
Mallé L., 1965, p. 75,
Barberi S., Collegiata dei Santi Pietro e Orso. Il chiostro romanico, 2002, p. 20,
Barberi S., Il chiostro, 2001, vol. I, pp. 50, 56, 58-59,
Papone P., Anselmo d'Aosta educatore europeo - Convegno di studi a Saint-Vincent, 7-8 maggio 2002. "In hoc claustro": echi di cultura anselmiana nel chiostro di S. Orso ad Aosta, 2003, p. 90,
Orlandoni B., Architettura in Valle d'Aosta. Il Romanico e il Gotico, 1995, p. 77,
Barberi S., Il chiostro di S. Orso ad Aosta, 1988, pp. 19, 25,
Jullian R., Les sculpteurs romans de l'Italie septentrionale, 1952,
Papone P., Da Santa Maria di Villeneuve a Sant'Orso di Aosta. Note iconologiche, 2003, pp. 291-293, 302-309,
Papone P., Nuove prospettive sul chiostro di Sant'Orso, 2004,
Papone P., Il chiostro di Sant'Orso e la sua interpretazione, 2011, pp. 80-83,
Rivolin J.-G., Le cloitre de la collégiale Saint-Ours à Aoste, 1995,
Emanuele d'Azeglio. Il collezionismo come passione, 2016, 60