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Mosaico
1120-1130
tessere in pietra e pasta vitrea
0537/PM
Figure fantastiche, figure umane e figure zoomorfe
atelier di Carlo Francesco Beaumont
I resti del mosaico sono costituiti da tredici frammenti con tasselli in marmo bianco e nero posati sull'originale malta rosata di allettamento. Dieci frammenti derivano dalla rottura di tre grandi insiemi: il fregio con cinque figure (un genio alato, un arciere che colpisce con una freccia un dromedario, tenuto per le redini da un cammelliere armato di lancia, un drago alato); una greca a meandro abitato, dove si distinguono una figura umana nuda distesa, un gallo e un pesce; l'iscrizione dedicatoria, ogi dicisa in quattro frammenti. Un altro frammento, parte di una scena centrale inscritta in un cerchio, rappresenta due volatili e una testa alata che soffia, rappresentazione del vento, probabilmente da legarsi, come suggerisce l'iscrizione, alla caduta di Icaro. Infine due frammenti erratici raffigurano rispettivamente un ignudo che esce dalle fauci di un drago (generalmente interpretato come l'episodio biblico di Giona) e una cornice a rettangoli scalati.
Il mosaico fu riportato alla luce nel 1845, durante i lavori per la nuova pavimentazione della cattedrale di Acqui. Molto probabilmente esso ricopriva, in origine, tutto il presbiterio della chiesa, sistemazione che rimase intoccata per quattro secoli, come attestano i restauri documentati dai libri dei conti del Capitolo nel 1501 ("pro aptando taxilos quae sunt in medio chori") e nel 1576 (per aggiustare "la mosaicha"). Nuovi lavori presero avvio dopo la visita pastorale del 1611, quando su ordine di Monsignor Beccio fu stabilito di trasferire le reliquie di San Guido dalla cripta al presbiterio e di avvicinare l'altare alla navata mediana. Negli anni successivi, e ancora nei rimaneggiamenti del 1730, la pavimentazione medievale venne ricoperta e in parte demolita.

Scoperto nel 1845, il mosaico fu offerto in dono dal capitolo della cattedrale di Acqui alla Real Casa e rimase per molti anni entro casse presso il Regio Museo di Antichità. Nel 1895, nell'ambito della politica di scambi che interessò diverse istituzioni torinesi, il mosaico fu depositato al Museo Civico, dove è sempre stato esposto.

Sotto il profilo formale, questo mosaico appare come una delle più sofisticate ed eleganti raffigurazioni eseguite nell'Italia settentrionale e in Piemonte, regione che annovera un patrimonio molto ricco di pavimentazioni musive medievali. L'eleganza delle figure, la chiarezza geometrica della loro disposizione sui fondi, l'omogeneità dei materiali (nella stragrande maggioranza tessere in marmo recuperate da monumenti antichi) e l'uso ragionato degli inserti coloristici in pietra dura e pasta vitrea (gli occhi, i denti del drago) ne fanno un'opera di grande equilibrio, che presuppone l'esitenza di una bottega organizzata e dotata di una certa esperienza.

Il mosaico di Acqui ha una datazione tradizionale al 1067, che si è appoggiata, sin dall'Ottocento, alla testimonianza dell'iscrizione che narra della ricostruzione della cattedrale ad opera del vescovo Guido (Widone pontefice viro prudentissimo) e della sua consacrazione nel 1067, alla presenza dei vescovi di Tortona e di Genova. Tuttavia, le strette affinità stilistiche e compositive che legano i frammenti di Acqui all'antica pavimentazione della cattedrale di Novara, consacrata nel 1132, inducono a spostare la cronologia ai primi decenni del XII, durante il vescovato di Azzone (1098-1135), che volle forse ricordare con quest'opera la figura del suo grande predecessore Guido, consacrandone la memoria e le opere attraverso l'iscrizione posta sul pavimento accanto all'altare.
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