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Lapide sepolcrale
1461
marmo della Val Varaita
0432/PM
Altezza: 193 cm, Larghezza: 79,5 cm, Profondità: 6,5 cm
Figure giacenti e stemmi di Antonio e Lorenzina Calderari
Sigillo tombale di Antonio Calderari e della moglie stesi su uno stretto letto, con la testa appoggiata ad un guanciale. In alto una coppia di stemmi.
L'opera giunse al Museo nel luglio 1899, tramite Samuele Ovazza, dal quale furono acquistati nella stessa occasione altri due sigilli tombali in marmo, "provenienti dal Duomo di Chieri", per un totale di 225 lire (Inventario Generale, vol. II, p 382, inv. 3811; Inventario Pietre e Marmi, p. 269). Le altre due lapidi terragne, facenti parte del lotto venduto da Ovazza, sono quelle di Bernardino da Prato (458/ PM) e del canonico Domenico Broglia (448/ PM).

La pietra sepolcrale, contrariamente a quanto si è creduto finora, non proviene dal duomo di Chieri, bensì dalla chiesa di San Francesco ad Alba, demolita con molta probabilità nel 1814 (E. Villata, 1996, p. 29 nota 15), dove la vide Giuseppe Vernazza; questi la descrisse come "il sepolcro dei nobili Antonio Calderario e Lorenzina sua moglie fabbricata l'anno 1461, il quale si trova in mezzo l'insigne chiesa de' frati minori; ed è coperto da una lapide lunga quanto è la statura umana" (G. Vernazza, 1773, p. 18). L'autore descrisse così l'oggetto: "In quella è scolpita a basso rilievo l'effigie del marito e della moglie con lo stemma gentilizio di ambe le famiglie" (G. Vernazza, 1773, p. 19), e ne lodò poi la rarità, "unico di tal genere in Alba è questo riguardevol sepolcro, non contando quelli di Andrea Novelli nel duomo, e di Saracena sua madre in san Domenico" (G. Vernazza, 1773, p. 19). Tra gli altri membri di tale casato sepolti in San Francesco, Vernazza menzionò Maria Calderaria, moglie di Antonio Pomaureo Tortonese dei signori di Carpeneto, governatore del castello nuovo di Alba, con il quale fu seppellita nel 1522; essi furono destinatari di notevoli lodi da parte di Venturino de' Priori, che li definisce nell'epitalamio a Paolo Giovanni Borgese e ad Argentina de' Boschi: "Nobiles et inclytos viros Tardoneneses (...) qui longo tempore urbis nostrae castellum novum pietate, iustitia, et fide cum summa principis benevolentia moderati sunt" (G. Vernazza, 1773, p. 19).

Vernazza citò la lapide di Antonio Calderari nella trattazione sul poeta albese omonimo "per dir primamente alcuna cosa di sua famiglia", ma non si sbilanciò in ipotesi di eventuali parentele tra l'Antonio del sepolcro ed il poeta che reca lo stesso nome, i cui scritti compaiono in coda al codice di 210 fogli dal titolo "Venturini de Prioribus Albensis academiae rectoris eximii opera. Item Antonii Calderarii civis Albensis carmina et epistolae familiares aliquot. Scripta sunt ante annum 1490", conservato, all'epoca di Vernazza, nella biblioteca dei domenicani di Alba. Le cinque orazioni di Venturino offrono un'interessante testimonianza delle relazioni politiche degli scrittori: tali componimenti sono infatti il primo in onore di Andrea Novelli, quando divenne vescovo di Alba, mentre le altre orazioni sono rivolte ad Antoniotto marchese Malaspina, che nel 1482 fu fatto per la terza volta podestà di Alba al posto di Corrado Sangiorgio, a Baldassarre Roero (1483), a Francesco del Carretto (1484), mentre l'orazione del 1485 è dedicata a Filippo Roero (G. Vernazza, 1773, pp. 15-16). Dai non molti scritti del poeta Calderari emerge che egli era un diligente imitatore dei buoni esemplari, nei versi e nella prosa (G. Vernazza, 1773, p. 20); della sua vita si sa che nel 1489 si trovava, per studiare giurisprudenza, a Pavia, città della quale nel 1511 ricevette la cittadinanza (è definito "civis dictae civitatis"). Maggiori notizie su tale personaggio si trovano in un altro scritto di Vernazza, consultato in BRT, Miscellanea Vernazza, XLVIII (4), copia dall'originale conservato presso gli Archivi di Corte, Notizia de' Scrittori Albesani data dal barone Vernazza Giuseppe più ampia della stampata, 18 (...), senza numero di pagina: "Calderari Antonio dottor di legge, fratello di Nicolò attese in Alba alla fine del secolo XV alla grammatica sotto la disciplina di Venturino Priori, e poi alla giurisprudenza sotto Bernardo Braida", il quale teneva lezioni alla cattedrale di San Lorenzo. Antonio Calderari passò poi all'università di Pavia, dove fu discepolo di Lancillotto Devo e dove conobbe, tra i compagni di studi, Odoardo di Alba.

Tali notizie sfuggirono a Mallé, che si attenne agli inventari del Museo, confermando quindi la provenienza dal duomo di Chieri, dal quale provengono effettivamente gli altri due oggetti acquistati da Ovazza nel 1899; resta il problema dei passaggi di proprietà antecedenti all'ingresso in museo della lapide in esame, considerato il largo lasso di tempo tra la demolizione della chiesa di San Francesco ad Alba, avvenuta nel 1814 e l'entrata in museo. La provenienza da Chieri fu ancora accettata, in tempi recenti, da Maria Luisa Moncassoli Tibone (1988), che menzionò brevemente la lapide nell'ambito di un excursus sulle memorie lapidee torinesi.

Mallé (1965), che trascrisse l'iscrizione con qualche inesattezza, sottolineò l'arcaicità del manufatto e ne descrisse le figure, dalle vesti scanalate a rozzi piegoni rigidi, i busti trattati a modellato liscio, i duri contorni. L'oggetto, di qualità non eccelsa, è di trent'anni anteriore al sepolcro, nella chiesa di San Domenico ad Alba, di Saracena, madre di Ippolito Novelli: si tratta di un lavoro piuttosto tradizionale e di livello non elevato, che tuttavia può ancora funzionare come termine di confronto per la tomba di Antonio Calderari. Nel monumento sepolcrale di Saracena, morta nel 1491, vi è però un tentativo di indagare il volto rugoso della donna, e di fare aderire il panneggio della veste ben caratterizzata al corpo, mentre i coniugi Calderari presentano tratti fisionomici assolutamente stereotipati, e convenzionali abiti a tunica dalle rigide pieghe tubolari.

Antonio Calderari, fratello di Giacomo e Petrino, era figlio di Bartolomeo, oriundo di Mondovì e abitante già a Canale; egli ebbe una figlia, Carenza, che sposò Manfredo de Togia di Ceva. Antonio acquistò il 31 maggio 1448 alcuni diritti su Grinzane, Borzone, Babellino, in parte dal marchese di Monferrato e in parte dai Braida nel 1450 (A. Manno, vol. III, p. 148). Egli testò il 16 luglio 1464, ma già nel 1461 si era preoccupato di avere un sepolcro in San Francesco ad Alba e qualche tempo prima aveva fatto costruire una cappella in onore di San Luca nella cattedrale della medesima città, erigendo poi sotto tale titolo un beneficio perpetuo il 14 aprile 1459 (G. B. Adriani, 1857, pp. 6-7). Tale cappella, intitolata ai Santi Luca e Tommaso, negli ultimi decenni del Seicento passò per eredità ai conti Ferrero Ponziglione di Cherasco, in seguito al matrimonio di Gaspare, nel 1663, con l'ultima discendente dei Calderari, Angelina.
Romanello E., Emblemi di pietra. Araldica e iscrizioni piemontesi, 2008, pp. 81-82,
Mallé L., 1965, p. 128,
Vernazza G., Notizie degli scrittori albesani, i quali vissero avanti il secolo XVIII, 1773, pp. 15-16, 18-20,
Adriani G. B., Dei nobili Calderarii fondatori di due priorati semplici eretti nella chiesa cattedrale di Alba verso la metà del secolo XV, 1857, pp. 6-7,
Moncassoli Tibone M. L., Dalle chiese del Medioevo. Palazzo Madama, in Archivi di pietra, 1988, p. 70,
Manno A., Il patriziato subalpino. Notizie di fatto storiche, genealogiche, araldiche e feudali desunte da documenti, 1895-1906, vol. III, pp. 148-149