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marmo
0106/PM
Altezza: 57 cm, Larghezza: 50 cm, Profondità: 5 cm
Lapide tombale di Giovanni e Girolama Mabrito
Lapide tombale di Giovanni e Girolama Mabrito
L'opera fu donata al Museo dagli eredi di Bartolomeo Gastaldi nel giugno 1880 (Inventario Generale, vol. I, p 71, inv. 702; Inventario Pietre e Marmi, p. 264); dall'Inventario Particolare (n. 139) emergerebbe una provenienza da Asti, mentre nell'aggiornamento della scheda inventariale si propone un'origine eporediese dell'opera (106/ PM, novembre 2001).

Questa fu descritta nel 1896 da Gaudenzio Claretta, il quale riportò il disegno del campo ("X I X/ G. M./ *") e ne registrò così l'iscrizione: "Sepulcrum nobilis Iohannis et Ieronime iugulium de Mabrito Civium Epporediae ac orum posterum anno salutis MDCXXIII", con un paio di errori riguardanti lo scioglimento delle abbreviazioni (nobilis, iugulium), e l'inserimento di parole non pertinenti (ac orum). Benché Claretta affermasse di avere trovato notizie di questa famiglia (senza purtroppo citare la fonte) ancora ai tempi della nota peste del 1630, quando un "Marzino Mabritto" compariva fra i Capi di Casa di Ivrea (ASMCT, G. Claretta, 1896, pp. 32-33), tale cognome non è stato rinvenuto nei repertori araldici disponibili.

Mallé confermerebbe la provenienza astigiana dell'opera (dedicata a "Giovanni Mabrito" e a suo fratello "Girolamo") e riconobbe la rozzezza della cartella a volute e del nastro che corre ondulando sul campo.

Leggendo correttamente l'iscrizione, questa va ricondotta ai cittadini eporediesi Giovanni Mabrito e a sua moglie Girolama (e non a suo fratello "Girolamo", come si è creduto finora); malauguratamente non si è trovata alcuna traccia di tale famiglia né nel Manno, né nei Fiori di Blasoneria di Della Chiesa, né nell'Armerista di Franchi-Verney, né nel testo di Guasco, né nel Blasonario biellese curato da Borello e Zucchi e tantomeno nei Consegnamenti d'arme piemontesi del 1580 e del 1613.

Non ha portato ad alcun risultato la consultazione di testi più specifici sulle vicende eporediesi, come gli statuti di Ivrea curati da Pene Vidari, oppure il "Rerum patriae libri III" di Irico, entrambi già con buon esito utilizzati per reperire informazioni sulla famiglia Porcelli, la cui lapide fu anch'essa donata al Museo Civico dagli eredi Gastaldi nel 1880 (cfr. scheda 457/ PM).

Vi sono buone probabilità che il casato dei Mabrito si sia estinto in tempi remoti, malgrado un rapido censimento delle ricorrenze di tale cognome abbia registrato il 100% delle presenze in Piemonte (quindici famiglie), con un picco nel Canavese, soprattutto a Castellamonte e Vidracco, segno che i discendenti degli antichi Mabrito hanno mantenuto radici ben salde nel territorio di origine.
Mallé L., Museo Civico di Torino. Le sculture del Museo d' Arte Antica, 1965, p. 256,
Romanello E., Emblemi di pietra. Araldica e iscrizioni piemontesi, 2008, pp. 26-27