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Messale miniato
1490-1492
tempera e oro su pergamena; legatura in legno e marocchino
0466/M
Larghezza: 246 mm, Altezza: 359 mm
Messale del Cardinal Della Rovere
Francesco Marmitta
collaboratore di Bernardo Vittone
manoscritto membranaceo di II + 309 + I ff. Fascicolazione: I8-1, II10+1, III-XIV10, XV10+2, XVI-XXV10, XXVI10+1, XXVII-XXX10, XXXI8. Testo su 2 colonne di 31 righe in minuscola gotica in inchiostro bruno; righi musicali ai ff. 113v-117v. Legatura in marocchino rosso su assi in legno bisellate internamente. La coperta è decorata con riquadri da fasci di filetti a secco e da due cornici con nodi racchiusi in compartimenti in riquadri di piccole S e di filetti. Nello specchio, troviamo settori angolari triangolari decorati con seminato di nodi. Sulla mediana verticale, due gigli mamelucchi. Dorso con con sei nervi doppi senza particolare decoro. Due fermagli metallici residui dei quattro originali; fibbia di restauro fissata sottocoperta al piatto superiore con piastra metallica a forma a forma di coppa; all'estremità della fibbia contrograffa sagomata; sul piatto inferiore, graffa con forma analoga a quella di detta piastra.
Benché sia stato acquistato dal capitolo del duomo, il messale non era in origine destinato alla chiesa madre di Torino, ma vi pervenne probabilmente come dono di Gerolamo della Rovere, arcivescovo della diocesi dal 1564. L'acquisto del Comune di Torino nel 1874, su proposta dell'allora direttore del Museo Pio Agodino, salvò il prezioso manoscritto dalla vendita all'estero decisa dal capitolo metropolitano.

Il codice fu eseguito per la devozione privata del cardinale Domenico della Rovere, vescovo di Torino dal 1482, per la cappella del proprio palazzo di Borgo, terminato nel 1490. Bibliofilo e promotore del cantiere per la costruzione del duomo nuovo in forme rinascimentali, il cardinale Della Rovere trascorse a Roma gli anni dal 1478 al 1501, a contatto con il fervido ambiente culturale classicista della curia di papa Sisto IV.

L'illustrazione del prezioso manoscritto si deve a Francesco Marmitta, artista ricordato nelle "Vite" di Giorgio Vasari come gioielliere, intagliatore di gemme e miniatore. L'identificazione spetta a Pietro Toesca, che riconobbe nel codice torinese la stessa mano che illustrò i Trionfi del Petrarca della biblioteca di Kassel, dove è elogiato il miniatore Francesco Marmitta da Parma. L'artista si era formato a Bologna nell’ambiente dei pittori classicisti (Francesco Francia e Lorenzo Costa), raccogliendo aggiornamenti e influssi dai più estrosi ferraresi come Ercole de’ Roberti. Attivo a Roma per Innocenzo IV da prima del 1483 fino al 1490, durante il soggiorno ebbe modo di aggiornare la propria cultura alle novità dell'ambiente romano, attingendo ai modelli antichi e alle raccolte papali di glittica e numismatica. Di questo raffinato gusto antiquario risentono le sessantuno miniature istoriate del codice, eseguite con eccezionale perizia tecnica, in equilibrio tra la storia sacra palpitante di colori, di emozioni e di movimento, e l'immobile decorazione monocroma delle statue, dei putti e delle candelabre all'antica.
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