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Tralcio di cappero / pigne / cardi / mazzo fiorito

    Tralcio di cappero / pigne / cardi / mazzo fiorito
    XVI sec. ? - seconda metà XIX sec.
    velluto di seta tagliato ad un corpo ricamato; raso di seta ricamato.
    1831/T
    Altezza: 145 cm, Larghezza: 312 cm
    piviale
    Paramento liturgico seta velluto / Liturgical garment silk velvet
    Il manto è eseguito a ricamo a riporto con raso in seta ottocentesco: la faccia ordito è impiegata per il fondo, mentre la faccia trama è utilizzata per definire il disegno, i cui singoli elementi sono applicati su fogli di giornale e, in alcuni casi, ulteriormente rafforzati da uno strato di colla. Alcuni particolari del decoro sono realizzati con minuti frammenti di damasco antico di seta rosso ornato con il motivo del “brocone a cappero”. I contorni dell’ornato sono rifiniti con un cordoncino in oro filato (anima in seta gialla). Lo stesso cordoncino è impiegato per il ricamo eseguito sullo stolone e sullo scudo realizzato in velluto tagliato ad un corpo color cremisi. Sul manto si stagliano maglie ovoidali chiuse, formate da un tralcio di cappero originate da palmette sostenute da grandi pigne, incornicianti alternativamente teorie di cardi e di mazzi floreali; i punti di tangenza delle maglie sono sottolineati da corone. Il cappuccio e lo stolone presentano motivi a nodi senza fine interposti palmette stilizzate; il disegno è delimitato da una treccia a due capi. Il clipeo è rifinito con una frangia in seta rossa e oro filato. Lungo il bordo del manto corre una frangia in seta rossa. Lo stolone è siglato con una coppia di stemmi eseguito a ricamo a riporto e a punto steso in raso di seta rosso e grigio, cordoncino in oro filato (anima in seta gialla) e argento filato (anima in seta bianca). Fodera e controfodera in tela di lino (?) rosa, su cui è posto il timbro “"collezione Simonetti - Roma".
    Il piviale è il frutto di complesse e drastiche manomissione ottocentesche che ne hanno completamente alterato l'aspetto originale, impossibile da ricostruire. La grammatica ornamentale rimanda a modelli del XVI secolo, come suggerisce sia il disegno "a bracone di cappero", prodotto soprattutto in Toscana fra il Cinquecento e i primi decenni del Seicento, sia il complesso ornato dello stolone e del clipeo, in cui sono evidenti riferenti ai modellari cinquecenteschi per il motivo a treccia del bordo (G. Ostaus, La vera perfezione del disegno per punti e ricami, ed. consultata Bergamo 1909, tav. XXVIII) e per il decoro a nodi e palmette (cfr. M. Abegg, A propos patterns for embroidery lace and woven textiles, Berna 1978, p. 34, fig. 28; A. Gruber (a cura di), L'art décoratif en Europe. Renaissance et Maniérisme, Parigi 1993, pp. 62, 92; S. Urbini, Libri per modelli. Repertori per le arti decorative del Rinascimento, in T. Schoenholzer Nichols, I. Silvestri (a cura di), Musei Civici di Modena. La collezione Gandini. Merletti, ricami e galloni dal XV al XIX secolo, Modena 2002, p. 46, fig. 21). Appare verosimile immaginare che, in occasione del rifacimento delle parti in velluto, si sia tentato di seguire il decoro già esistente, forse già ricamato con applicazione di cordoncini dorati, reimpiegando, come fondo, il tessuto antico, mentre risulta essere più arduo definire le vicende storiche del manto. Non è possibile indicare se in origine era confezionato con del prezioso damasco "a bracone di cappero", generalmente contraddistinto da un'altissima qualità tecnica, come suggerirebbero i frammenti di tale tessuto, oppure se era già realizzato sfruttando le potenzialità decorative del ricamo a riporto, il cui impiego è ampiamente attestato sia in ambito secolare che religioso. Qualora si accogliesse quest'ultima ipotesi, rimarrebbe ancora da stabilire il motivo della presenza dei frammenti appena ricordati: si potrebbe ipotizzare che il capo cinquecentesco sia nato già come un'imitazione della costosa stoffa, eseguita all'interno di una bottega ove vennero impiegate diverse tipologie di tessuti che avevano a disposizione, fra cui lo stesso damasco. Una copia filogicamente corretta, nella quale si riproduce non solo il disegno di un tessuto, tracciandolo con filati metallici, ma anche la tipica contrapposizione fra zone luminose e parti più scabre ed opache che contraddistingue il damasco, che doveva ingannare anche l'osservatore più attento ed esperto. Di contro si deve anche ipotizzare ribadire che tale scelta potrebbe essere stata effettuata nel XIX secolo, forse nel tentativo di voler rendere ancora più prezioso e sontuoso il piviale, nel tentativo di farlo apparire molto più affascinante e pregevole agli occhi della clientela. Si può solo infine ipotizzare che tali lavori siano stati eseguiti a Roma, come potrebbe suggerire la provenienza dalla collezione Simonetti, sebbene la circolazione, in ambito antiquarale di opere, renda, in assenza di specifici attestazioni documentarie, assai complessa l'attribuzione ad un preciso ambito.
    Tessuti, ricami, merletti. Opere scelte, 2008, pp. 88-90