Simone Baiocco, Théo Hermanes, Bernardo Gabrieli.
Un conservatore, un restauratore e uno storico dell'arte raccontano l'esperienza e le scoperte di un importante recupero, finanziato dal Lions Club Torino Regio
Mercoledì 8 ottobre, ore 17.30
Palazzo Madama, Sala del Senato
Per informazioni e prenotazioni: tel. 011 4429911
Un intervento di restauro permette a volte di porre l'opera d'arte in una nuova luce e di valorizzarne appieno il ruolo. È quanto avvenuto recentemente, al Museo Civico d'Arte Antica, con una importante Madonna lignea policroma, riferita ad un ignoto maestro attivo nella Germania meridionale tra la fine del Quattrocento e l'inizio del secolo successivo.
Prima del suo ingresso in Museo, l'opera era appartenuta alla collezione del marchese Emanuele Tapparelli d'Azeglio, una raffinatissima raccolta, aggiornata sul gusto del collezionismo internazionale di metà Ottocento, creata dall'esponente di una importante famiglia piemontese che aveva avuto vari incarichi diplomatici, soggiornando a lungo a Londra.
Il restauro, condotto grazie al generoso finanziamento del Lions Club "Torino - Regio", ha permesso di affrontare i problemi conservativi dell'opera e al tempo stesso di focalizzare una serie di aspetti riguardanti la tecnica e le modalità di esecuzione.
Fin dal primo esame ravvicinato, all'avvio del restauro, l'opera ha mostrato varie particolarità tecniche che si sono in seguito meglio precisate, verificando un caso di assoluto interesse. Innanzi tutto si è notato che il blocco ligneo utilizzato per la scultura coincide con il punto di separazione di due grossi rami; la scelta è stata fatta evidentemente in modo consapevole in quanto si desiderava avere una ampiezza maggiore nella parte bassa. Si riconosce poi un uso molto consapevole, "al risparmio", della foglia d'oro che interessa ampie parti del panneggio: l'artista aveva ben chiaro che la posizione prevista per la scultura avrebbe reso alcune superfici più visibili di altre, e aveva allora utilizzato per queste ultime lo stagno, metallo meno nobile e meno costoso. La veste della Vergine è decorata con l'impiego della tecnica del "Pressbrokat", una decorazione tipica dell'area tedesca che utilizza una lamina impressa a fingere il disegno del tessuto.
La pulitura, eliminando strati di sporco e ridipinture, ha permesso di recuperare una policromia complessivamente ben conservata: sono ora ben leggibili i rapporti tra l'oro del manto, il tessuto della veste e i risvolti degli abiti in cui compare l'azzurro o il rosso; pressoché ottimale è risultata la conservazione degli incarnati.
Nel corso dell'intervento, l'approfondimento dell'indagine storico-artistica ha permesso di ipotizzare che la scultura sia stata realizzata da una bottega tra le più importanti del Rinascimento europeo, quella di Michael e Gregor Erhart, padre e figlio attivi soprattutto a Ulm e Augusta. Le indicazioni tecniche relative alla tipologia del legno (il pino cembro) e alla preparazione pittorica (che contiene dolomite) spingono però a ipotizzare che le maestranze avessero lavorato, in quella occasione, nell'area del Tirolo.
L'intervento è stato condotto presso il Museo da Théo-Antoine Hermanes, ed è stato diretto da Simone Baiocco e da Anna Maria Bava della Soprintendenza torinese; per l'indagine sull'essenza lignea e per una proposta di datazione dendrocronologica, ci si è avvalsi della collaborazione dell'Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree del CNR, e in particolare di Nicola Macchioni e di Mauro Bernabei; le indagini relative agli strati pittorici sono state condotte nel laboratorio coordinato da Antonietta Gallone, presso il Dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano, e sono state seguite da Bernardo Oderzo Gabrieli.