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Lapide sepolcrale
XV metà
marmo di Candoglia
0457/PM
Altezza: 85 cm, Larghezza: 80 cm, Profondità: 8 cm
Lapide sepolcrale di Antonio Porcelli
Stemma torneario di Antonio de Porcellis, inscritto in una losanga quadrilobata, che nelle espansioni genera infiorescenze simili a pigne, ripetute con simmetria rigorosa.
L'acquisizione della lapide dagli eredi dell'ex direttore del Museo Civico Bartolomeo Gastaldi si evince dall'Inventario Generale (n. 703), in contrasto con l'Inventario Particolare (n. 237) che riporta un'improbabile provenienza albese (dono dell'avvocato Giovanni Camerana) desunta dalla riga precedente e riferita ad un diverso oggetto. Tale svista è stata rilevata e corretta solo nel 1998 da Giovanni Donato in occasione della mostra sull'araldica Blu Rosso e Oro. Lo studioso integrò inoltre la trascrizione del Mallé, constatò l'uso improprio dell'oggetto (utilizzato forse per coprire una vera da pozzo) rilevandone tuttavia il buono stato di conservazione che presupporrebbe una collocazione appartata, forse a parete, e sottolineò "la nettezza del segno e il naturalismo rarefatto delle parti figurali", il cui motivo fitomorfo è prediletto da lignamari e terracottieri della metà del XV secolo e oltre (Ibidem). La lapide presenta lo stemma torneario di Antonio de Porcellis, cittadino eporediese originario di Trino sul quale per lungo tempo non era emersa alcuna traccia documentaria. Si tratta di una famiglia molto antica, i cui esponenti erano "nobilissimi incolae" della città di Trino sin dal 1278 (G. A. Irico, 1745, p. 97). Gaudenzio Claretta, nel manoscritto del 1896 sugli stemmi e lapidi conservati presso il Museo Civico, riportò la notizia di un eporediese Gian Antonio Porcelli giurisperito, documentato nei primi anni del XVII secolo e secondo l'autore probabile discendente dell'Antonio della lapide (AMCAAT, ms. G. Claretta, 1896, p. 30). I suggerimenti di Donato a guardare all'ambito eporediese per individuare l'origine della deposizione della lapide sono senz'altro da accogliere, malgrado l'indagine delle commissioni per le addiciones agli statuti cittadini non abbia fatto emergere nessun Antonio de Porcellis: viene citato invece un Petrus Porcelli de Burgo, nelle XI addiciones (18 novembre 1475), nelle XIII, XIV, XVI (2 gennaio1486), insieme ad un Gullielmus Porcelli, e ancora nelle XVIII e XX addiciones del 4 novembre 1494 (G.S. Pene Vidari, 1974, pp. 362, 378, 387, 405). Nelle XXII sono menzionati insieme "nobilis Petrus Porcelli de Burgo" ed il già noto "nobilis Gullielmus de Sancto Mauritio", che compare ancora nelle XXV addiciones (Ibidem, pp. 446, 463).

Sia Pietro sia Guglielmo potrebbero essere diretti discendenti dell' Antonio de Porcellis, che l'Irico nella storia di Trino menziona come "patricius noster": questi, nel testamento del settembre 1451, dopo avere riservato per i posteri il iurepatronato nell'altare di "S. Nicolai Myrensis Antistitis in Templo maximo tridinensi", vi fondò una cappellania, che restò di competenza dell'"illustris progenies", benché lui si fosse trasferito ad Ivrea: la preziosa informazione permetterebbe quindi di fissare per la datazione della lapide come termine post quem l'anno del testamento del de Porcellis. Il "Templo maximo" è presumibilmente la chiesa di San Bartolomeo, documentata a partire dal 1271, anno in cui vi furono trasferite le funzioni parrocchiali dal San Michele.

Non è da escludere che Antonio de Porcellis, dopo essere stato lontano dalla città di origine, avesse deciso di farsi seppellire proprio in San Bartolomeo (dove aveva fondato la cappellania di san Nicola), magari in una zona poco battuta della chiesa, considerato il buono stato di conservazione della lapide, accuratamente scolpita in un materiale - il marmo di Candoglia - molto usato nella fabbrica del duomo di Milano: la presenza di anelli infatti, che facilitavano la deposizione nel pavimento, suggerirebbe di escludere una collocazione a parete, ventilata da Donato.





















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Sciolla G. C., L'arte a Trino e nel suo territorio, 1977, p. 17,
Barbero A., Spantigati C., Fonti e documenti figurativi, 1980, pp. 153-154,
Moncassoli Tibone M. L., Dalle Chiese del Medioevo. Palazzo Madama, 1991, p. 70,
Mallé L., 1965, p. 120,
Irico J. A., Rerum Patriae libri III, 1745, pp. 97, 203, 206,
Manno A., Origine e variazioni dello stemma di Savoia, 1884, pp. 565-657,
Claretta G., Il municipio torinese ai tempi della pestilenza del 1630 e della reggente Cristina di Francia, Duchessa di Savoia, 1859, pp. 30-31,
Donato G., Blu Rosso e Oro. Segni e colori dell'araldica in carte, codici e oggetti d'arte. Capitello con stemma Novelli di trino, 1998, p. 121,
Pene Vidari G. S., Statuti del comune di Ivrea, 1974, Vol. III ,
Romanello E., Emblemi di pietra. Araldica e iscrizioni piemontesi, 2008, pp. 39-41,
Palazzo Madama. Guida, 2011, pp. 82-83