Al tempo dell'occupazione francese, quando Carlo Emanuele IV porta con sè in esilio l'intera famiglia reale, si svuota d'ogni tesoro la residenza che aveva visto le magnificenze di generazioni sabaude. La stessa che, al tempo del precedente assedio francese del 1706, era parsa così sicuro rifugio, con i suoi possenti sotterranei, da essere scelto da Vittorio Amedeo II come deposito delle opere d'arte della reggia, i cui scantinati erano tanto meno protetti da offensive di guerra.
Il ventaglio pieghevole con interni del Teatro Regio e del Teatro Carignano, di manifattura torinese, è un interessante documento legato alla moda dei ventagli recanti la distribuzione nominativa dei palchi nei teatri, che si diffonde in Europa negli ultimi decenni del Settecento. Uno degli esemplari della collezione del museo è prodotto per la stagione teatrale 1780-81, come si deduce dal confronto dei nomi su di esso riportati con i libri dei conti della società che gestisce gli spettacoli cittadini. Dei due teatri raffigurati, il Regio si dedica al melodramma e all'opera, il Carignano ospita commedie e opere buffe.
Episodi delle storie di Alessandro e di Annibale godono di prolungato successo nei programmi decorativi delle residenze sabaude. Due enormi tele di Claudio Francesco Beaumont li illustrano ed accompagnano le attese nelle anticamere del palazzo, prima di essere donate al Musée Savoisien di Chambéry da Vittorio Emanuele II verso la metà dell'Ottocento. Anche l'arazzeria di corte, fondata da Carlo Emanuele II e già attiva dal 1731 con Beaumont principale ideatore delle serie tessute, fa dei medesimi soggetti storici una produzione ricorrente dagli anni '40 agli anni '60 del Settecento.
Dal suo soggiorno torinese, lo scienziato descrive "una bella facciata moderna, ornata di colonne corinzie , la cui trabeazione è conclusa da una grande balaustra, con delle balconate, delle statue e dei vasi di buon genere". In diversi altri commenti, riprende le osservazioni ed i giudizi di Cochin, ai quali si conformano molti dei successivi viaggiatori stranieri.
Redatto per presentare un grandioso progetto dell'architetto Benedetto Alfieri per il completamento e l'ampliamento di Palazzo Madama. Quello che il disegno registra è il salone che potevano ammirare i visitatori dell'epoca, quando al di sopra delle dodici coppie di personificazioni in stucco delle Province sabaude, accomodate sopra lo sporto della cornice, si trovano altrettanti medaglioni di rilievo con i profili dei busti dei dodici Cesari, smantellati nell'Ottocento per far posto ad un nuovo allestimento pittorico.
Tra gli accompagnatori del giovane fratello di Madame de Pompadour, il futuro marchese di Martigny, nel suo viaggio di istruzione in Italia, registra le opinioni di tutti Charles-Nicholas Cochin. L'incisore e pittore giudica la facciata come la "più bella e imponente che vi è a Torino" e riscontra un qualcosa "nel gusto del peristilio del Louvre". Nelle memorie dei più colti osservatori contemporanei, tra i viaggiatori stranieri, Palazzo Madama appare quasi sempre come l'architettura più rilevante della capitale sabauda, oggetto di ammirazione valutata soprattuto nell'accostamento ai modelli di riferimento delle residenze reali del più potente monarca assoluto: il Louvre e la Versailles di Luigi XIV.
Al riarredo del Palazzo, dopo lo spoglio dei beni di Maria Giovanna Battista, si provvede nell'arco di qualche decennio e l'edificio torna a ricevere gli apprezzamenti dei visitatori settecenteschi. L'anonimo estensore del documento stende una sorta di guida della residenza reale per soddisfare la curiosità di «tanti inteligentissimi Forestieri che vengono in questo Palazzo... a dilettanti del disegno e conoscitori delle Pitture», e dopo la galleria che da Palazzo Reale conduce al castello, passa a descrivere la facciata, lo scalone di Palazzo Madama e il salone, lodandoli per la loro magnificenza.
Ad appena dieci anni dal completamento dell'architettura di Juvarra, il palazzo del re di Francia è chiamato in causa come paragone di qualità dal viaggiatore e letterato tedesco Carl Ludwig von Pöllnitz, che esprime un giudizio di incondizionata ammirazione per l'opera torinese: "tutto ciò che vi sia di più bello e di più perfetto in architettura moderna a Torino e forse in Europa è la facciata del palazzo della fu Madama Reale (...) Prima che lo scalone fosse costruito si diceva che il palazzo di Madama Reale era come una casa senza scala, oggi si dice che è una scala senza casa". Il paradosso ricordato finisce per diventare un "topos" ricorrente della letteratura di viaggio sul Palazzo.
La barca, ordinata a Venezia ai costruttori Matteo Calderoni e Monsieur Egidio, è realizzata tenendo presente l'ultimo bucintoro lagunare, di cui ripete lo sfarzo di piccolo palazzo galleggiante. I temi scelti per le decorazioni riprendono i soggetti di casa Savoia di quegli anni e l'arredo include due piccoli troni e panche per accogliere la corte, che vi naviga in occasione di cerimonie e festeggiamenti dinastici. Nel 1869 la Real Casa cede la peota al Comune, che nel 1873 l'assegna al Museo Civico d'Arte Antica. Dal 2002 è concessa in comodato alla Reggia di Venaria.
Madama Reale dimostra di circondarsi di una gran quantità di argenti e mobili sfarzosi, con un gusto indirizzato verso le corti di area germanica e nord-europea, ma dei suoi lussuosi tesori oggi non resta più nulla in Palazzo. Nonostante l'edificio risulti ancora utilizzato come abitazione anche dopo la scomparsa della duchessa, la dispersione degli oggetti inventariati è pressochè totale, testimoniata dai documenti di estimi e vendite. Agli occhi dei viaggiatori dell'epoca, come il tedesco Johann Georg Keyssler o lo scozzese Andrew Mitchell, gli appartamenti appaiono spogli e senza mobili. Anche più tardi, nel 1740, Charles De Brosses non trova più nient'altro che "una scala senza palazzo".